Il Karate - Do
    La  Via  del  Karate    

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Introduzione al Karate

 

 Il karate - do...

 

Il Karate è un'Arte Marziale a mani nude sviluppatasi nel corso dei secoli nell'isola di Okinawa.

Questo metodo di combattimento è basato su colpi di pugno e di mano diretti e circolari, calci, proiezioni ed immobilizzazioni ed era inizialmente finalizzato all'autodifesa contro le aggressioni dei briganti e dei militari degli eserciti di occupazione (prima cinesi e poi giapponesi) che avevano proibito agli isolani il possesso di qualsiasi arma.

Lo sviluppo di questa Arte Marziale si deve a Gichin Funakoshi che divulgò il Karate attraverso diverse dimostrazioni nelle principali città dell'arcipelago.

Il termine Karate è scritto ricorrendo a due Kanji (ideogrammi): Kara, che significa vuoto e Te che significa mano

La parola Do significa via ovvero percorso da percorrere come filosofia di vita.
Il Karate, oltre ad essere un metodo di autodifesa estremamente efficace, è una disciplina completa sia per lo sviluppo fisico che per quello spirituale della persona. Lo possono praticare tutti: uomini, donne e bambini purché l'allenamento sia adattato alle caratteristiche dei singoli praticanti; le sole doti richieste sono la buona volontà ed il desiderio di migliorare sempre la conoscenza di se stessi.
L'acquisizione di serenità e autocontrollo e, a livello fisico, di un corpo sano, sciolto e potente sono solo alcune delle caratteristiche di quest'Arte Marziale la cui pratica è fondata su principi etici e morali di indubbio valore formativo.

 

 

Il Dojo

Dojo (Do: via, jo: luogo) significa "luogo dove viene praticata la via". E' lo spazio in cui si svolge l'allenamento, ma è anche simbolo della profondità del rapporto che il praticante instaura con l'arte marziale. Tale ultimo aspetto è proprio della cultura orientale, che individua il dojo quale luogo dell'isolamento e della meditazione.

I dojo erano spesso piccoli locali situati nelle vicinanze di un tempio o di un castello, ai margini delle foreste, affinché i segreti delle tecniche venissero più facilmente preservati. Con la diffusione delle arti marziali sorsero numerosi dojo che venivano considerati da maestri e praticanti una seconda casa. Abbelliti con lavori di calligrafia e oggetti artistici preparati dagli stessi allievi, essi esprimevano appieno l'atmosfera di dignità che vi regnava. Talvolta su di una parete veniva posto uno scrigno, simbolo che il dojo era dedicato ai più alti valori e alle virtù del Do, non soltanto all'esercizio fisico. In altri dojo si trovavano gli altari detti kamiza (sede degli dei), riferiti non a divinità, ma a ricordo di un grande maestro defunto.
Nel nostro stile questa tradizione viene continuata collocando l'immagine del M°Funakoshi, fondatore dello Shotokan, nello stesso punto dove anticamente si trovavano i kamiza. Il cammino del M° Funakoshi nell'insegnamento del karate conobbe moto tappe e difficoltà, legate in modo indissolubile ai numerosi dojo da lui creati. Nel maggio del 1922, dopo la dimostrazione al Kodokan (il dojo del maestro di judo J. Kano), Funakoshi cominciò il suo insegnamento a Meishi-juko, il pensionato degli studenti di Okinawa. Egli ottenne l'autorizzazione ad utilizzare la sala conferenze di questa struttura, che misurava all'incirca trentasei metri quadrati. l'edificio venne distrutto durante il grande terremoto del 1924 ed il maestro fu costretto a cercare un'altra sede. Hakudo Nakayama, un celebre maestro nell'arte della spada, propose a Funakoshi di utilizzare il suo dojo nelle ore in cui esso rimaneva inutilizzato, ma l'insegnamento del kendo era richiesto in tale misura che Funakoshi, dopo sette anni, dovette abbandonare anche quel dojo. nel 1931 affittò una piccola casa in uno dei quartieri centrali di Tokio, Masagocho. Nel giardino di questa casa fece " passare le assi di legno" e prese a dirigere gli allenamenti. Un anno più tardi riuscì ad affittare il pianterreno della casa vicina ed a costruirvi un dojo do trenta metri quadrati.
Gli allievi del M° Funakoshi si autotassarono per molti anni e nel marzo del 1938 poterono inaugurare il nuovo dojo, che venne chiamato Shotokan (la casa nel fruscio della pineta): tale nome rimarrà poi a designare la sua scuola. Il dojo divenne il centro dell'insegnamento del karate Shotokan e fu frequentato da numerosi adepti sino all'inizio della Seconda Guerra Mondiale.

Un bombardamento lo distrusse completamente nel marzo del 1945. nonostante tutto, la pratica del jarate Shotokan conobbe una grandissima diffusione ed oggi come allora, il dojo ne rimane il fulcro e continua a rappresentare un luogo di meditazione, concentrazione, apprendimento, amicizia e rispetto.

Il dojo è il simbolo della via dell'arte marziale. In occidente questo termine viene impropriamente tradotto in "palestra" ed inteso unicamente come spazio per l'allenamento, mentre nella cultura orientale il dojo è il luogo nel quale si può raggiungere, seguendo la "via", la perfetta unità tra zen(mente) e ken (corpo) e, quindi, il perfetto equilibrio psico-fisico, massima realizzazione della propria individualità.

Il dojo è la scuola del sensei (maestro): egli ne rappresenta il vertice e sue sono le direttive e le norme di buon andamento della stessa. Oltre al maestro ci sono altri insegnanti, suoi allievi, ed i sempai (allievi anziani di grado), che svolgono un ruolo molto importante. il loro comportamento quotidiano rappresenta l'esempio che deve guidare gli altri praticanti.
Quando un sempai non si cura del proprio comportamento diventa un danno per tutta la scuola. Nessun allievo avanzato prende dal dojo più di quanto esso non dia a sua volta: il dojo non è semplice spazio, ma anche immagine di un atteggiamento. I dojo della "via" si differenziano in questo aspetto dai normali spazi sportivi: l'esercizio fisico può anche essere il medesimo, ma è la ricerca del giusto atteggiamento che consente di progredire. L'allievo di karate entra nel dojo e deve lasciare alle sue spalle tutti i problemi della quotidianità, purificarsi la mente e concentrarsi sull'allenamento per superare i propri limiti e le proprie insicurezze, in un costante confronto con se stesso.
il dojo è come una piccola società, con delle regole ben precise che devono essere rispettate. Quando gli allievi indossano il kimono e diventano tutti uguali; la loro condizione sociale o professionale viene lasciata negli spogliatoi: per il maestro essi sono sullo stesso piano. I principianti apprendono, assieme alle prime tecniche dell'arte marziale, tutta una serie di norme che vanno dalla cura della persona e del kimono (che mostra solo l'emblema della scuola e non deve presentare risvolti alle maniche o ai pantaloni per ragioni della sicurezza), al fatto di non urlare, non sporcare, non fumare, non portare orecchini ad altri abbellimenti (per evitare di ferire e di ferirsi), al fatto di comportarsi educatamente sino all'acquisizione dell'etica dell'arte marziale che discende da quella arcaico-feudale dei samurai: il Bushido o "Via del guerriero". Il coraggio, la gentilezza, la cortesia, il reciproco aiuto, il rispetto di se stessi e degli altri sono dettami che, a lungo andare, entrano a far parte del bagaglio culturale dell'allievo. nel dojo non si usa la violenza. non per nulla le arti marziali enfatizzano la forza mentale e non quella fisica, condannata prima o poi ad affievolirsi.

Si entra e si esce dal dojo inchinandosi. un segno di rispetto verso l'arte ed un ringraziamento per tutto ciò che di valido essa ha offerto. 
Anticamente, nel dojo veniva il rito del soji (polizia): gli allievi, usando scope e strofinacci, pulivano l'ambiente, lasciando in ordine per i successivi allenamenti. Tale gesto è il simbolo della purificazione del corpo e della mente: i praticanti si preparano ad affrontare il mondo esterno con umiltà. L'umiltà è una dote necessaria per apprendere e per insegnare il karate: su questo presupposto si stabilisce il primo rapporto tra insegnante ed allievi, destinato a durare nel tempo ed a tramutarsi in una solida amicizia anche fuori dalla palestra, con grande beneficio per gli uomini e per il karate.

 

 

 

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